TU E L’ESERCITO DI CHI?

Di Umberto Duca

Andiamo!

Pensi di farmi impazzire?

Andiamo!

Tu e l’esercito di chi?

Tu e i tuoi compagni

Andiamo!

Sacro Impero Romano

Andiamo, se pensi che

Puoi arruolarci tutti quanti.

Tu e l’esercito di chi?

Tu e i tuoi compagni

Ti dimentichi così facilmente

Questa notte saremo a cavallo

Sono cosi triste

Dovresti saperlo.

“Tu e l’esercito di chi?” R.H.

E così per un solo attimo mi sentì mio fratello. Nel senso che fui convinto di essere diventato lui. Di vedere il mondo con i suoi occhi e di muovermi esattamente come fa lui. Non mi piacque!

Accadde non appena distolsi l’attenzione dalle parole di lei che continuava a rivolgersi tristemente al mio cuore e guardai sorpreso la mia mano sinistra che si poggiava rigonfia di vene su di un marmo scuro, sul quale ero tra l’altro anche seduto.

Uno sguardo, uno scatto, distolgo gli occhi dalla mia mano che d’un colpo tutto svanisce con la stessa rapidità con la quale s’era presentato. Ero, dopo un attimo, di nuovo io. Ero ancora io a parlar d’amore con lei.

E poi cosa importa se piangeremo o rideremo, tanto non resta che morire nel fango di pianura.

Andiamo! Andiamo! Cosa sarà mai tutta questa scena bel e pronta?

Da quant’è che hai imparato a parlare in questo modo: da donnina del cinema scadente? Oppure lo hai sempre fatto ed io, stupido, non me ne sono mai accorto?

Eppure mio fratello non può non avere ragione; forse è esattamente questo il motivo del mio sentirmi-lui sperimentato in questa situazione che vado ricordando. Con tutte le probabilità è un buon modo il suo per stare bene. Atarassico? Nemmeno! Evita, evita tutto e tutti: le cose grandi, quelle piccole, le medie, le donne, i vecchi, i bambini, l’amicizia, i viaggi, il coro della chiesa, il padre, la madre, ed anche lo spirito santo, le giornate di sole e quelle di pioggia…e…e tutto!

Una sola cosa non dimentica mai di evitare: l’orrore, si l’orrore come unica cosa che valga la pena sperimentare, fino in fondo abbandonandosi senz’alcun limite. Una triste scommessa.

L’orrore di non so che, l’orrore di non so chi. Lei e l’esercito di che? Lei e l’esercito di chi?

Non mi angoscia la circostanza che lei potrebbe o meno mentirmi, oh no tutt’altro, è il fatto di non credere più alle sue parole che m’avvilisce l’anima e i pensieri.

Cosa sarebbe questo se non quell’orrore che provai sentendomi mio fratello? L’orrore dei fratelli e fratelli nell’orrore.

Una sana cura di benzedrina renderebbe tutto più leggero, l’ammetto, ma sarebbe la tomba delle mie speranze, un sigillo sul mio cuore.

Eviterò così di provare alcun tipo di cura che potrà, in un certo senso, farmi scoprire di valer meno di quello che penso. Una manciata di sassolini raccolti sulla riva del mare, al tramonto possibilmente. Al tramonto per carità. Simili per forma colore e fantasia e poi raccolti tutti in un pacchetto di circostanza mentre si continua a parlar d’amore.

Mentre immaginiamo la nostra resa ognuno per conto proprio, ci incontriamo nella solitudine del momento e cerchiamo di tenerci la mano a vicenda. Basta poco in fondo…che stupidaggini!

Ma da quando non guardo più negli occhi mio padre?

M’avrebbe certamente aiutato ad essere più uomo e galleggiare nella vita come sembra riuscire così tanto bene a lui? Ripenso ad uno dei pochi sorrisi che mi ha rivolto non ricordo quanto tempo fa, ma si sfuoca nel momento stesso di presentarsi alla mia mente. In fondo ci conosciamo poco.

Le soluzioni non ci sono! Non è possibile inventarsele e non mi sembra lecito non pensarne qualcuna. Una situazione, a quanto pare, che gira in tondo su se stessa riportando punto e a capo ogni tentativo d’inutilità.

C’è qualcuno che piange da solo. C’è ne altri che piangono in compagnia, sempre. Io personalmente piango, e l’avrete capito, solo quando sono inorridito. Quando perdo la speranza che anima le mie giornate. Quando mi sento vuoto. Quando cioè sento orrore di me stesso. Da solo o in compagnia. Perdonatemi ma io credo nell’amore.

Credevo fino ad ieri d’essere meno orrendo di adesso. Credevo fin l’altro ieri che eravamo, io e lei, meno orrendi di adesso. Preferisco non parlarvi di quello in cui credevo il giorno prima dell’altro ieri.

Sapere che è tutto un gioco, non rende assolutamente le cose più semplici. Un gioco non credo si possa giocare in mancanza di regole. Non esiste gioco al mondo che non possiede una seria presenza di limiti ed accordi che ne scandisce le mosse. Non rispettarli equivale a mio avviso a non aver imparato a giocare. Ovvero di aver imparato a farlo solo da soli, sempre e comunque.

Io non gioco da solo sempre e comunque. Che bel difetto!

Eppure avresti dovuto saperlo.

Quanto vorrei incontrare una persona che sappia parlare piano e che non voglia solo tirare a nuovo il bene che sì vuole. Non sarei scontento delle mie pecche. Non mi sentirei in apprensione ad ogni suo o mio gesto.

Le cose intorno a me iniziano ad assumere strani connotati. Non giurerei che questa macchinetta del caffè che ho dinanzi potesse essere la stessa di una settimana o di un mese fa. Per non parlare delle mie mani e del mio volto. Non parliamo di quelli poi!

Faccio gran fatica a riconoscere il mondo che mi attornia e me stesso come quelle entità che sentivo e mi apparivano fino a poco tempo addietro. Non posso fare a meno di intravedere colossali differenze tra quello che ho adesso dinanzi e quello che, mi sembrava, mi appariva, o credevo di vedere quando ancora io e lei giocavamo assieme. E badate che non è sentimentalismo ma un fatto, mi sbilancerei di dire, ontologico. Una pura questione riguardante il mio essere così e non in un altro modo. Oppure in un altro modo e non così come mi appare d’essere.

E non tiro fuori ragazzate da psicologo: “le cose ti appaiono diverse perché sei tu a guardarle con uno stato d’animo diverso?”

Ma cos’è uno stato d’animo? Non è forse un essere dell’animo in un certo momento e in un certo luogo? Equivale forse a dire che vedo me stesso e il mondo in altro modo perché sono un essere diverso? Il mondo è interpretazione? Certamente! Ma questo è palese.

Il problema è perché? Perché un essere e non un altro? Perché solo io e io a sentire il tutto come solo io so fare?

M’avvilisce l’idea di dover per tutta la mia vita guardare il mondo solo con i miei occhi. Solo con il mio essere guardare-me dal suo di dentro.

Non vi appare in questo modo che il problema non è sapere che vedo le cose in altro modo perché ovviamente io sono un’altra cosa?

Ed allora, tu e l’esercito di chi?

Lei e quello che non sono. Lei e quello che non sarò mai.

Lei e l’esercito di cosa?

Ecco il mio più gran desiderio: sentire con il cuore di chi amo.

Se vi appare balordo quanto desidero, miei cari, posso raccomandarvi un buon prete che si occupi della salvezza della vostra anima. Ma mi spiace, non fate per me. Non potremmo in alcun modo andare d’amore e d’accordo. Preferirei restar cent’anni solo che un solo giorno con chi non rispetterebbe questa mia desiderosa volontà.

Lei mi disse: <<…abbiamo tutto il tempo che vogliamo…>> e mi abbracciò come solo lei sapeva fare.

Il mio tempo mi scivola dalle mani.

Finalmente lei mostrò ai miei occhi la compiacenza di quel tempo verso noi due.

E così riuscì a trattenere pochi attimi nelle mie mani

Lo facemmo insieme se non mi sbaglio. A quattro mani.

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