STORIA D’UNA POESIA

di Salvatore Ambrosino

… si raccontano male questi minimi avvenimenti.

Male. Ma è inevitabile dirli.

Li affido a te che all’unisono li intendi

E,sia pure,trasformali in altro: in altro ma non in niente-

Sogno di dire a qualcuno che li fila nel tempo e li riprende.

Mario Luzi

…. E poi il nulla ….

Un incanto verteva sulla sua testa, aureola di ferro battuto a pressargli le tempie..

< leggerezza di piuma! Potessi essere leggerezza d’una piuma!>>

Correndo…Camminando in direzione d’un pullman sfilò lo zaino, aprì la duplice cerniera,

estrasse penna e quaderno e prese nota di quel volo..

<> pensò ancora, poi se ne partì, arrivò l’altro sè..

Il tempio carnoso era vuoto ora, in attesa d’una qualche divinità che né restituisse il senso..

Smarrito annaspava tra ‘l ciarpame e il disordine che gli impediva di dissiparlo..

<> ripeté <>

Tornava in lui la frusta e lo sdegno della frusta.. Era in quei momenti che comprendeva a pieno l’inutile di certa consapevolezza mal digerita..

<> ricordò.

“Hai presente quando esplosione ed implosione si confondono coincidendo come

nel turbinio estatico d’una danza passionata e scoordinata?”

Poi ne domandò il cibo. Quale nutrizione fosse adeguata a quello stomaco, quali erbe

dovevano fasciargli il capo? Ricordò d’amare cibi sostanziosi accompagnati da rossi

corposi vini di campagna. Ricordò che gli piaceva mangiare in buona compagnia,

in raccolti sopori di tavole familiari.. Quanto tempo era passato??

…Era notte fonda. Si trovò nella sua camera ad accendere la luce, si toccò il volto

con le due palme, provò un piede sul pavimento e si ritrovò più vecchio di qualche anno..

E quel cercare e non trovare, quel trovare e dimenticare, quel provarsi e riprovarsi

fino allo spasimo, fino alla strenua resistenza dell’ultimo nerbo emotivo;

Cosa gli aveva restituito? Si domandò ricordando quanto non se ne debba chiedere restituzione. Il <> fu un impulso altro, accompagnato allo <>..

In mezzo tutta la melma confusa di volti, frasi, ricordi falsati creduti veri e non

e la certezza di quella sensazione d’inconsistenza nemmeno simile a quei mostri deformi

delle visioni Lovecraftiane ma minuta e indefinita intermittenza priva di forma..

Cos’era mai? Si domandava tra l’inedia e la schizofrenia.. Si disse che era malato o convalescente, poiché non gli riuscì di ricordare da quanto fosse malato.. E quei simboli di guarigione che allampavano improvvisi nient’altro che sintomi della febbre alta..

Si adagiò al caldo della coperta, incerto pensando se l’anima piumosa di quella non ne avesse sdegno.. Egli creava queste cose che lo creavano, se ne rendeva conto ma non gli riusciva di farne di altre, di crearsi altro da come si creava.. Pensò forse era troppo tardi per tutto, poi si ricordò della vita che sorprende e cercò d’immaginare che fosse troppo presto per parlarne, sebbene quella sensazione di ritardo presente in più presenti sembrasse imperitura. Dov’era andato dunque l’amore? Dico di quel amore del sé nel tutto e del tutto in sé, quella Brahaman sattvica in cui credette? Finita sull’isola di Moha e Duhkha*.

Ricordò poi il desiderio continuo di quel “altro da sé” che gli aveva rubato l’infanzia,

quel infanzia che aveva i caratteri del padre, d’una ingenua vissuta e ripudiata ai bordi della strada, pesante eredità di cui disfarsi nella giungla della sopraffazione e dell’educazione camorristica. Ed ora rabbioso ne chiedeva la restituzione, spasimando un sé che non fosse altro, che non sentisse così lontano come fu.

L’orologio disse le quattro. Pensò al tempo e alla dolorosa assenza d’un futuro, trattenuto da un passato dal volto di donna, fantoccio fantasma e simbolo di rovina, di catene e di passioni sdentate e di frutti marciti e di occhi non mai guardati..

E ricordò, in un attimo ricordò l’infinita perdizione, implicitamente rimuovendo tutta l’infinita significazione e benedizione che lo aveva accompagnato da sempre..

S’addormì d’un sonno profondo..

…E poi il nulla.

2° Movimento

..Quindi si rielse.

Un esiguo spicchio di sole s’incorniciava nell’angolo alto della finestra per giungere obliquo al torace di lui scopertosi nella lotta notturna. Un allegrezza immotivata invase il vuoto che lo aveva visto addormentarsi. Gli sembrava di annunciarsi ad una nuova alba, di essere risalito da un tramonto irreversibile. Sentì in lui che qualcosa del salmone aveva preso posto alla salamandra. Si vestì adagio, assaporando un po’ del lieve tepore di quel sole mattutino. Andò al bagno e si svuotò con godimento d’un litro nervoso accumulato nella notte. Ebbe cura di lavare per bene quel tempio che già sentiva ricolmo di tutte le sue divinità. Poi sortì. La brezza d’una primavera romana gli carezzò i capelli ancora umidi appena fuori la porta..

La incontrò ..

Disse di amarlo.

La guardò con occhi veraci per un attimo eterno,

poi,

adagio,

le sfiorò il volto d’una carezza

( non vi fu fremito in lei)..

Quindi prese verbo

<< Vai! Ora siamo liberi…>>…

Era sparita…

Non c’era più o non era mai stata.

Sapeva che a sera il sole sarebbe tramontato dietro il ricordo di lei

ma si rinfrancò al pensiero della nuova alba che ne sarebbe giunta.

Sentì tutta la magia di quel addio rituale,

sentì la gran ricompensa di quel gesto,

alla quale in vero non aveva concorso.

..Quindi si rielse.

3° Movimento

…E si risolse a partire.

Doveva partire, fuggire lontano da quelle forme circostanziali che lo attanagliavano.

Doveva faticare, imperlarsi di tempie sudate. Era il lasciarsi tutto dietro, il tracciare il punto d’una nuova circonferenza, riscoprire le infinite possibilità. Avrebbe potuto ricreasi,

plasmarsi in nuova forma, lontano da tutte le costrizioni e le falliche imprese.

Così da lungi si ritrovò vicino, da una foglia di nuova stagione risalì alle radici secolari.

<> si domandò. Attimo ed eterno gli risposero in unica lingua,

e ripensò al medaglione di vita e morte, ripensò al battito cardiaco.

Ricordò tutto e si meravigliò di quel ennesima perdita ricuperata.

<>

Si ritrovò risoluto nell’abbraccio totale della croce.

Benedisse la giusta sofferenza che abbraccia insegnando,

invocò il suo cuore acciocché il nuovo banchetto lo maturasse nell’abbraccio

del prolungato digiuno che ne sarebbe necessariamente seguito.

…E si risolse a partire

* Nomi sanscriti: Brahaman = la Realtà spirituale assoluta; sattvica = illuminante, leggera;

moha = smarrimento, illusione, infatuazione; duhkha = sofferenza, disagio, malessere, dolore;

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