DUE STORIE

(ovvero una vicenda sull'impossibilità contemporanea)

di Delio Salottolo

La realtà

- Le cose non vanno bene. Mi mantengo sul falso discrimine tra dignità e follia. Tiro avanti tranquillamente: qualche lavoretto lo faccio sempre. Sto in piedi soltanto perchè scrivo. Quelle chiazze di nero che imbrattano la purezza del foglio bianco. Lettere sparse adattate alla realtà. Il lavoro dello scrittore è come quello di un buon sarto. Ho dedicato tutta la mia vita alla scrittura. Sin dai tempi del Labaut. E ora hai messo su una importante casa editrice. Giovane. Applicheremo finalmente le nostre idee ed io finalmente pubblicherò qualcosa. Il mio nome, la mia vita, il mio romanzo impossibile. E' troppo tempo che attendo. Forse riuscirò a completare il mio romanzo. Storia totale della totale impossibilità di vivere oggi, a Napoli ed ovunque. Forse riuscirò a mettere la parola fine. Conclusione. La struttura sarà totale ma avvilupperà il nulla. Sei in ritardo. Strano non lo eri mai stato. Servi anche tu per mettere la parola fine a questo romanzo. I tuoi discorsi, i tuoi pensieri rappresentano la veste del reale e la sua impossibilità. Devi venire. -

Quel maledetto specchio. Proprio qua doveva restituire il mio volto. E poi non ridere. Non puoi liberarti di me come non puoi liberarti di te stesso. E' un delirio? Sì, un delirio da ubriaco. Ma che fa? Chi non delira? Chi non beve? Sarai anche fortunato ma quando ci incontreremo non potrai negare il mio talento. Sai benissimo che è unico. Rispondimi. Mi hai invidiato qualche volta? Dimmelo se mi hai invidiato e scriverò le mie migliori pagine. Dimmelo e costruirò l’unico finale possibile, forse. Dimmelo e forse dormirò attendendo che la realtà si compi tra le pagine del mio romanzo.

“Buondì caro, come va?”

Potevi risparmiarti questo sorriso. Sai come va. Vedi il mio volto. Sai cosa sto passando. Conosci la mia sofferenza nello scrivere. "Bene. Non si vede? Comunque volevo farti i complimenti. E già sai il motivo per cui ti ho chiamato; ho delle cose eccezionali da proporti."

“Perfetto, dì pure.”

Che eleganza nel parlare. Il giovane editore che gode. Novello Mecenate, vero? “Ho scritto un buon romanzo, manca soltanto il finale: parla di tutto quello che ruota attorno a noi. La tecnica è finalmente propositiva, ma in maniera matura, molti discorsi indiretti liberi, pensieri che si fondono a discorsi, in una sinfonia corale di eventi e sensazioni. Ma...scusami! Volevo prima chiederti che linea hai intenzione di dare alla casa editrice.” Tutto in un fiato, ho parlato. Troppo. Sono stato banale. Il mio romanzo è oltre, è di più. Manca il finale e stanotte non ho dormito. E capirà che sono disperato. Vecchia vicenda dello scrittore vate e distrutto. Ho fatto troppa pubblicità a me stesso. E poi quel foulard, a che serve?

“Vi sarà, dunque, una collana che prevederà la presenza di testi classici napoletani: da Russo a Di Giacomo ed altri. E un'altra avrà come suo scopo rilanciare Napoli: giovani scrittori, nuovi modi, nuove espressività, soprattutto... Per questo mi interessa quello che hai scritto anche se non posso per il momento prometterti nulla. Sai, non possiamo esagerare con le pubblicazioni, abbiamo già tutto pronto per i prossimi mesi.”

Hai già tutto il programma di pubblicazioni? Non dicevi che a Napoli non scriveva più nessuno? Non eravamo l'avanguardia, noi? Svestiti da quei panni. Parlami sul serio. Non mi inondare di discorsi sulla morte della letteratura con il Finnegans Wake e non chiedermi se c'è un modo di uscire dai labirinti di Borges. Non è il momento. Non sei più tu.

“Ah...prima di andarmene volevo chiederti se per il momento ti andava di darmi una mano nella casa editrice, quando hai tempo ovviamente. C'è parecchio da fare: prendere contatti con tipografie, o con grossisti di carta. Se ti va, fammi sapere al più presto. C'è sempre un posto per te.”

E grazie. Il segretario, niente male. Mi fai schifo, accetterò però. Contento? "Non so. Ti farò sapere presto. Ho anch'io parecchie cose da fare ma mi farebbe piacere!"

“Ah, prima di andarmene volevo soltanto dire che il finale del tuo romanzo sarà pronto entro domani…ne sono sicuro. Si vede dal tuo sguardo.”

Ancora una volta. Languirò solitario tra i miei pensieri. Non posso liberarmi da quello che sono e quello che sarò. Mi siedo a questo tavolino a riflettere. Devo riprendere a scrivere. Il finale. La storia è buona. La vita è saporita. Di un sapore marcio e scaduto ma valido. Una conclusione che preveda l’impossibilità di tutto. Qualcosa che distrugga ogni possibilità; che apra definitivamente tutti i cancelli mostrando che al di là di loro vi è solo il tenero e morbido nulla. Scriverò la conclusione. E soffrirò ancora per poco. Poche pagine e le vicende si mescoleranno e l’impossibilità trionferà. Scriverò, sì, comincerò a scrivere l’ultimo capitolo e vivrò, ancora una volta, la mia impossibilità di azione.

Ultimo capitolo: l’incognita e l’impossibilità

- Il profumo delle coperte appena lavate. Rosse come un tappeto di fuoco. Bella presa in giro il rosso denso e terso. A me piace ascoltare unicamente il profumo di donna. Di donna e di sesso femminile. Hai impregnato il letto e il mio umore. Carne che trema tra le mie mani. Tremi e trami con me. Sei una meraviglia. Nata per sfidare una natura oramai inesistente. Nata per stare con me, forse. Ti accompagno piacevolmente tra le pieghe del mio animo. Ti confido confessioni ossessionanti. E tu credi al mio modo, non modifichi il mio credo bisbigliando e lucrando sulle esperienze sparpagliate. Non comunichi il chiasmo insanabile tra idea e azione, tra uomo e donna. Moltiplichi il mio essere all'infinito e ti abbandoni placida alla finitezza dell'amore aggrovigliato tra le lussureggianti lenzuola rosse della nostra vita assieme. Mi tendi la mano e mi proponi un sorriso che si apra su tutta la nostra vita. Mi avresti accompagnato, lo so. Ma devo compiere la critica totale. Devo assolutamente perpetrare indistinti espedienti per compiere l'unico vero atto impossibile. Pochi uomini possono pensarlo. Nessuno può mai farlo. Io compierò tale sostenuta facezia.

Io, X, incognita di un calcolo errato, distruggo ogni certezza. Moltiplico il nulla per me stesso e produco la realtà. Io, X, sono la variabile del mondo. Dissocio ogni possibilità di rapporto. Indistinto come un destino tinto di amaranto il mio atto traboccherà me ed inonderà tutto quello che circola e circonda. Inonderà le pieghe immobili del susseguo. Sussisterà tra le piaghe indolenzite del rapporto causale e casuale. Permetterà le lacrime tra i risvolti dell'ironico completo. Atto mio e assoluta sostanza. Ti amo, amore mio. Ma l'impossibilità di una morte vera: questo è il problema blaterato in tutti questi millenni. -

Che splendore questo specchio. Mi restituisci un'immagine veritiera e gioiosa di me. Che pienezza la mia vita. Gonfia di ogni risoluzione, totale come uno specchio che splende e riflette l’intero universo. Sì, oggi è il momento giusto. Devo liberarmi di tutto. Amore mio, ti lascerò con il mio profumo sulla pelle. Devo andare, devo comprendere quale è il confine che separa l’atto dal suo accadere. Devo comprendere quale sia l’ultimo capitolo da affrontare in questo romanzo.

Io, X, protagonista di un romanzo insensato chiedo al mio scrittore la comprensione di me stesso. Ho preso la decisione e lui sarà sicuramente d’accordo.

Lo sguardo di Y è penetrante. Intenso. Veloce e diretto passa da un lato all’altro il mio Io, come in una rassegna. Mi osserva con un fare risoluto che non gli si addice. Giusto, però. Giusto che sia così. Gli rispondo mantenendo i toni della discussione sul vago. Gli dico di aver terminato il romanzo. Sì, l’avevo finalmente terminato. La storia prevede, però, un’ultima narrazione, attraverso la quale verrà definitivamente sciolto l’enigma che attraversa le mie pagine. Ho finalmente compreso il momento in cui si sviluppa l’ispirazione. Vi è bisogno, gli dico, di annunciare il suicidio dell’arte per dare una nuova possibilità. Suicidio non omicidio, di questi ce ne sono tanti, e sono risultati soltanto tentativi. Mi guarda perplesso stavolta. Non si sofferma più a squadrare il mio volto rilassato dopo una notte d’amore e sereno per l’estrema comprensione. Il suo sguardo si concentra sulle mie labbra, come se fosse possibile comprendere meglio osservando il loro movimento. Non comprende, penso. Non può comprendere il mio atto estremo. Non può comprendere come ci si possa sacrificare in nome dell’arte. Sei un buono scrittore non v’è dubbio. Ti manca qualcosa, però. Il sacrificio. No, non mi capirai mai. Ricominci, adesso, con le tue sciocchezze. Sono d’accordo, sì. L’omicidio della letteratura si è avuto con il Finnegans Wake; su Borges, però, devo contraddirti: i labirinti esistono nel momento in cui si creano i muri separatori. Forse abbatterli potrà risollevarci dalla nostra condizione. Non mi comprendi. Lo so. Nei discorsi letterari amo prenderti in giro; è inutile che arranchi e ti arrovelli. Quello che ho detto non significa nulla. Nulla, chiaro? Hai degli impegni da svolgere? Non ti trattengo più. Non salutarmi innervosito. Non me lo merito. Non salutarmi così, gli addii dovrebbero essere più romantici.

Arrovellanti pensieri roventi trapasseranno e rimarrà un vago disgusto stordente. Quando non si potrà più piangere né ridere, che accadrà? Quando compirò l'atto che riassume in se ogni opposto, tu amore mio, potrai ancora piangere? Potrai ancora amarmi? Ed io, potrei ancora amarmi? Mi comporterò come dovrebbe ogni buon giocatore quando vince, mi lancerò nel vuoto e fra poco sarò morto. E il segno che rimarrà sull’asfalto parlerà di un suicidio. Strana semantica del sangue. Rappresenterà l’epilogo estremo di una vita. Chi raccoglierà la mia sfida all’impossibilità? Chi capirà la sospensione di ogni giudizio che crea un suicidio all’apice di una realizzazione? Chi mi potrebbe realmente capire? Quando la struttura della comprensione non è più la ragione ma qualcos'Altro? L’Altro come un sogno proibito di comprensione diventerà sempre di più un’inquietudine. Basta parlare di follia. Basta. Divertimento, invece. Il divertimento sarà l'attimo di vuoto che mi separa con il pavimento e la morte cruenta e sarà identico a quello che separa uno scrittore dal suo foglio nell’attimo di sospensione dell’ispirazione. Il tormento e la vendetta dilateranno il mio attimo della caduta all'infinito. Il mio corpo flaccido e inerme cadrà nel vuoto e sarà l’infinita possibilità d’ispirazione. Dilaterò l’attimo della caduta in particelle minime e tutto ciò che accadrà sarà una curvatura infinita di eventi, una stringa concettuale di pensieri, una dilatazione del sospiro della malinconia. Sarà l’infinita possibilità di creare storie infinite.

X si lanciò nel vuoto. Cercò di rimanere costante nelle pieghe inconsolanti che separano la realtà dalla letteratura. Dilatò all’infinito l’attimo dell’ispirazione e permise di scrivere la conclusione di un romanzo che rimase sospeso.

X ha costretto a concludere il romanzo nell’attimo della caduta. Voleva il suo suicidio nel nome dell’Arte ma voleva anche l’eternità. E’ un personaggio epico, in fondo. Voleva l’eternità e dare la possibilità di scrivere infinite storie. Ha voluto regalare l’ispirazione dilatata ed infinita.

Rimasi immobile di fronte al tavolino e alla macchina da scrivere. Mi alzai in piedi e iniziai a piangere la morte eroica del mio personaggio, me medesimo più di me stesso. Dalle mie lacrime sgorgò la possibilità di una nuova letteratura.

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