LA PENULTIMA ALBA

di Fabio Rocco Oliva

scriverò lettere cercando di afferrarmi dall’esterno; scriverò di me come fossi un altro. non riesco a fissarmi dall’interno.

appunto la mia voce, la mia angoscia pura, senza filtri, in note brevi. ma nascondo le lettere su fogli di carta qualsiasi e non li trovo più. dimentico dove li ho messi l’ultima volta.

qualcuno li troverà.

cercateli e dateli a mio figlio.

Amico mio, 15 Agosto

ficcai la chiave nella serratura, era mattina quando tornai a casa, stanco e sudato dopo tre giorni. Gettai le chiavi sul tavolo e armeggiai movimenti distratti.

Mi lanciai sul divano a peso morto e assunsi una posa come se stessi pensando, allungai la mano sulla sedia a destra del divano. Afferrai la bottiglia d’acqua e bevvi a grandi sorsate.

Era metà agosto, la calura era eccessiva, specie per un uomo sui novanta chili alto poco più di un metroesettanta. La canottiera bianca che avevo indossato quando tre giorni prima scesi dal mio appartamento ai tribunali s’era ridotta abbastanza male, aveva delle macchie inspiegabili un po’ ovunque, le stesse macchie erano sui pantaloni di cotone verde.

Mio caro amico, 16 agosto, di notte

Il ticchettio del quadrante a muro sembra dettare il tempo alle immagini che sviluppo nella mente: mi sforzo di fare ordine nei ricordi che si accavallano.

Autobus di notte, lunghe passeggiate durante il giorno. Sono salito a sanmartino e ho visto l’alba, sono sceso alla ferrovia e ho preso il 455 per torredelgreco alle due di notte, sono stato a via roma nel pomeriggio, alla galleria Umberto, sotto gli archi del sancarlo.

Non ricordo nessun dialogo.

Ho dormito sul tetto del casteldellovo, sulle panche della villacomunale, ho mangiato, sono capitato a qualche festicciola, non mi sono divertito, ho preso ancora il 401, il 491.

La notte ormai è destinata nei pullman seduto vicino al finestrino. Sono una delizia in canottiera, con la testa fuori al finestrino a prendere tutto il vento di mergellina. “Un grassoccio che vive con angoscia l’arsura d’agosto”.

Per un’insonne forse è l’unica soluzione quella di andare in giro di notte a rinfrescarsi sugli autobus.

Foglietto ritrovato in una tasca della giacca

Il caffé salì.

Maledetto specchio ovale che gli si parò giusto avanti quando dal cucinino andò nella stanza di passaggio, la stanza dove era entrato. Restò a fissarsi mentre beveva il caffé. Non mi sopporto, non sopporto quello specchio e andò dritto nella camera da letto. Lasciò la tazzina su un mobile.

15 agosto. Non voglio sapere che ore sono.

17 agosto, mattina

E aprì la finestra, faceva sempre caldo. S’affacciò al piccolo balconcino. Guardò in basso.

“Sarebbe facile alzare una coscia e andare giù”.

La signora di fronte era già sveglia e dondolava sé stessa e la scopa lungo il terrazzino tra le piante e i giocattoli dei figli.

“No, no. Già sto scivolando, già mi sono spinto, già sto cadendo e ho pure già sbattuto contro l’asfalto”.

Foglietto ritrovato nelle cuciture di un cappello

Era decisamente cominciata la giornata, che calore! che lunghi giorni afosi si presentavano. Bisognava fare qualcosa contro il caldo.

Appunto dietro uno scontrino ritrovato in un libro (aranciata 0,50 cent)

Tutto sbiadito sanmartino, il tetto a sinistra di santachiara, la casa di fronte abbandonata, l’anticaglia insolubile, tutto sfocato. Vorrei un figlio.

Carissimo, 18 agosto, mattina presto

“Ho girato tre giorni per tutta napoli a vuoto, se non altro prendevo il fresco la notte sull’autobus”.

Il vicino comincia il suo lavoro col paniere, lo tira giù, poi lo tira su, poi si siede, poi fuma, poi entra in casa, poi si riaffaccia al balcone.

Io, il signor Andrea Speranza, laureato, sono sempre al balcone, in canottiera bianca. Zoppo alla gamba destra. Il vicino si diverte a spiarmi da sopra al giornale che legge tutte le mattine per sapere i suoi compagni d’affari che fine fanno, arresti, omicidi. Indovina chi ha fatto quella rapina - Cronache di Napoli - arresti domiciliari. “Andrea Speranza! Si ucciderà, prima o poi. E’solo. A 50 anni non ha non ha ancora messo su famiglia. Non fa niente, non parla con nessuno. Laureato incapace di lavorare e di rischiare. Ha rifiutato quel lavoretto facile facile che gli chiesi di fare per me. Non ho mai promesso a nessuno un guadagno così alto. Speriamo almeno non si butti, altrimenti oggi non si lavora e perdo parecchi soldi”.

Mio carissimo e unico testimone, 19 agosto, sera

La signora spazza ancora e raccoglie una quantità di cianfrusaglie sparse per il terrazzo. “Che coppia i miei vicini! Guarda là dove sono capitata. Andrea che non si sa mai che pensa, sempre cupo, non saluta mai. E l’altro, il suo vicino, eccessivamente a modo con tutti. Non ci tiene a inimicarsi nessuno. Saluta con quel sorriso simpatico, e io ricambio a tono. Poi gioca sempre con quel paniere, su e giù in continuazione per tutto il giorno. In mezzo a loro, poi, quel gran genio dell’alienato che passa tutta la giornata al computer”.

Bozza ritrovata nell’ultima pagina di un quaderno

Il ticchettio del quadrante a muro, la donna che scopa, il vicino, la mattina, i figli del vicino, i figli della donna che scopa, l’odore di ragù, internet già in funzione, mi manca qualcosa, provo a farmi i conti, ma mi manca decisamente qualcosa. Andrea Speranza si gratta la barba come per afferrare qualcosa.

Figliolo caro, 20 agosto, non so che ore sono, forse tardi

Non ha senso stare affacciato al balcone, pensare di schiantarsi quando già sono crollato e sfracellato per bene. Rientro in casa e mi ciondolo per quel po’ di spazio che ho. “Gli oggetti tutti, il palazzo, la donna che spazza, il mio vicino. Tutto quello che ho intorno. Bello pensarlo come un enorme libro che contiene segni ortografici, da leggere, da relazionare, da decifrare. Tutti i segni si possono decifrare e cogliere”.

Ascoltami mio unico amico 21 agosto, mezzogiorno

“No, non posso. Non posso più farlo. Non posso più decifrare i segni di nessun libro. Li perdo immediatamente nell’attimo in cui l’afferro”.

“Mentre li tengo stretti tra le mani mi scivolano come l’acqua che uso al mattino per sciacquarmi il volto. Il volto che vedo allucinato perché non riconosco più in quel volto, il volto del giorno precedente. E non perché avanzo e miglioro e supero e corro verso uno stadio altro della mia vita o della vita dell’uomo nel mondo e nell’universo. No, non per questo, non più ormai, non è più possibile”.

“Come posso afferrare qualcosa che gira su una sfera sospesa nel nulla, che lentamente si ferma?”

Ritrovato senza data sotto la gamba del tavolo, piegato più volte

Ecco, il vicino si affretta a calare il paniere, la vicina s’affretta a spazzare e la terra s’affretta a decelerare per fermarsi.

“E poi? Cadrà? E se la caduta dopo innumerevoli millenni divenisse la sola possibile costanza della terra? Esisterebbe un uomo in continuo precipizio?”.

L’universo è infinito. La caduta, lunga.

“Mi trascino, quasi per non deludere chi mi ha preceduto su questa terra ed è ricordato ancora dopo secoli. Mi tengo strette le mie riflessioni, per non accasciarmi e annullarmi, solo per essere tempo sulla terra”.

Scritto su un tovagliolo

Non avrò mai il lavoro che desidero. Voglio un figlio.

22 agosto Figlio

“Ho provato a dire queste cose al vicino, una sera, mi guardò con una faccia strana e mi ha proposto la sua merce. Voleva regalarmela, mi ha detto di non affliggermi”. Atto di fratellanza inconcepibile. “Non sono afflitto”. Non mi disturba essere afflitto. “Ho provato anche con la signora di fronte, ma lei insisteva con i detersivi, e ho parlato con le persone che incontravo di notte nei pullman, dicevano tutti di essere d’accordo poi ognuno di noi prendeva il suo pullman e inevitabilmente si dimenticava dell’altro e cosa era stato detto”.

Parlo solo per me stesso?

“Parlo in realtà sempre solo con me stesso, il mio vicino non può essere altri che me”. Disgusto e malinconia. Una gabbia, una finestra e oltre? Ancora una gabbia e un’altra finestra? “I palazzi e gli oggetti tutti non possono essere altro che me. E non potrò mai afferrarli e non potrò mai tenermeli stretti, proprio per questo, per un continuo gioco di specchi che riflette sempre la stessa immagine, solo l’immagine e nient’altro.

Non sopporto più gli specchi, moltiplicano me e me negli altri.

Mai comunicare nulla né decifrare oltre l’immagine. Mi sfuggirebbero sempre. Come io sfuggo a me stesso”.

Su un pezzo di carta igienica ritrovato sotto il frigorifero

Sono laureato. Sono un disoccupato che ogni tanto si guadagna qualcosa. Voglio un figlio a cui lasciare me stesso.

Non posso più essere il nuovo uomo nuovo.

Penultima alba, figliolo mio, ascoltami 23 agosto

E allora, allora creo le immagini del mondo e le perdo subito. E le ricreo e le perdo ancora e poi le trovo diverse. M’impongo nel mondo pensando che non sono ancora l’ultimo uomo.

Ho bisogno d’urlare ancora un’ultima cosa. Non so cosa. Voglio vivere gli ultimi secoli dell’uomo in grande stile. Canticchiando vecchie canzoni francesi. Con lo champagne. Con tutto il peso di quello che ha fatto l’uomo e passare il testimone completo e chiaro, sbiadito e inafferrabile, all’ultimo uomo. All’uomo che vedrà l’ultima alba. Ti voglio. Voglio un figlio che non ho ancora e che sarà l’ultimo uomo.

Tutto il silenzio mattutino risuona delle canzoni passate, delle vite trascorse. T’avverto, queste lettere sono il mio regalo per te, figlio:

“Non c’è nulla dentro questi palazzi, oltre le mura che vedo, all’interno non c’è più nulla. Si trasloca.

Non c’è nulla nel vuoto tra un palazzo e l’altro. E quanto è pesante e quanta libertà mi dà il fatto che non c’è nulla. Questo è per te figlio, non so se sarò io a farti nascere, né se nascerai mai”.

ora tocca a te parlare, cominciare l’ultimo sermone o discorso altro

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