Il nostro cuore[1]

di antonio triente

Si divertivano, tra gli altri, a scambiarsi dei piccoli e vaghi cenni. Nessuno sapeva di loro due. Si intendevano con ignoti ammiccamenti – lo sguardo di lei grande e brillante. Sfiorarsi, o bere dallo stesso bicchiere evocava la loro svelta passione; e una mano ben nascosta che stringeva un braccio poteva riscaldarla come un abbraccio.

I suoi baci non erano come quelli che lui aveva già saggiato dalle cedevoli labbra delle altre donne che aveva conosciuto – da vicino, s’intende. Non si incontravano pacificamente, i loro baci. Con la sua lingua era una lotta ogni volta che le bocche si afferravano ad amplesso: dura, ruvida, dominante. Forte. Forte di una passione atavica che calcava la di lui bocca fino a farlo soccombere nell’estasi di quell’abbraccio orale. Nessuno l’aveva mai baciato così. Forse, nessuno l’aveva mai baciato. Si sentiva piacevolmente sconfitto da ogni suo attacco, e, insperata, subito dopo la dolce lotta, una profonda e robusta tenerezza lo cingeva: le sue splendide mani – donne anch’esse, avrebbe detto – lo sfioravano. Leggere. Ma decise.

Ma era tutto un gioco. Ammiccamenti baci incontri segreti. Ogni gesto andava via, trascinato nel vuoto dall’attimo in cui era compreso; e sappiamo quanto sia parsimonioso il tempo quando è fatto di attimi: non più tempo, ma già fine.

E già fine fu una sera, quando si videro per un ultimo bacio che non fu dato, ne’ ricevuto. Gliel’aveva promessa, quella fine, sin dal primo momento – non sembrava vero che quelle stesse labbra potessero modellare così truci sentenze; ma a lei piaceva così: non riusciva a serbare le sue crudeltà e con onesta angoscia lo graffiava con i suoi propositi. Per qualche tempo, non si lasciò sfuggire una sola occasione per dirgli che con lui, nonostante tutto, non avrebbe fatto l’amore. Mentiva, naturalmente. Ogni volta, poi, che aveva luogo il loro convegno segreto, lei, ironica, motteggiava decisa una frase: “Ancora un giorno, visto? Ma un giorno non è mai come quello successivo”, come a dire che gli aveva concesso un ultimo grande dono. Scherzava... naturalmente… Ma non voleva sentirsi ossessionata dall’attaccamento di quello che si definisce un fidanzamento, inoltre, erano sempre stati d’accordo riguardo alla fugacità del loro rapporto. Era assorbita dai suoi pro

getti e dal desiderio di un uomo, un altro uomo, uno che la sconvolgesse realmente e che forse, in verità, era rintanato nel passato, più che libero nel futuro.

Da parte sua, lui, pure l’aveva attesa ogni giorno quella fine, paziente come la donna che aspetta il suo bel marinaio al cimitero dei naufraghi, ma questa lo prese lo stesso alle spalle, contenta di averlo burlato.

Ora tra gli altri erano semplicemente altri, che si incontrano, parlano e ridono anche, ma senza sottintesi, se non quello dell’impegno di dimenticare tutto ciò che è stato. Ogni gesto comune aveva perso ormai il valore evocativo che pure aveva avuto; e se si sfioravano era solo per distrazione. Almeno per lei, che ostentava la sua improbabile sicurezza, ma fuggiva lo sguardo di lui che troppo spesso ancora indugiava sul suo volto.

Si decise a non pensare più a lei. Il loro attimo era passato e la rappresentazione del passato non doveva più pesare. Mantenne pochi contatti e, nei primi tempi, scappò dalla città ogni volta che gli si presentò la possibilità di farlo, senza ammettere, nell’intimo, quale fosse la causa reale dei suoi viaggi. Si tenne a distanza da ogni possibile ricordo che potesse assalirlo, per evocazione. Intrattenne anche delle relazioni con altre donne e restò coinvolto a lungo in una di queste storie.

Poi, una sera come tante, in un bar del centro, i due si rividero. Lui teneva la mano ad una ragazza, e gli “altri” con cui stavano non erano più quelli cui si mescolavano, i due, fingendo indifferenza, al tempo della loro breve e travagliata passione. Riuscì ad allontanarsi dal gruppo, con una scusa. Lei, sola, beveva qualcosa in un angolo angusto di quel locale – nei suoi occhi riverberava il tonfo di una malinconia che li appesantiva. Parlarono per un po’, nascondendosi a vicenda, con troppa evidenza, quello che era stato. Lei soprattutto ostentò noncuranza, come se non fosse partita da lei la telefonata che lo invitava in quel posto, “tanto per vedersi un po’”. “Sì, vieni con lei, non è mica un problema”.

Poi lui, chiamato dagli amici, andò via.

Lei no.

Rimase lì, a guardarlo mentre partiva.

Percorse un buon tratto di strada, prima di mollare tutti lì e correre in quel bar, nel quale aveva da poco lasciato quella donna, sola, in un angolo. Non amava più nessuno e voleva gridarle tutto l’odio accumulato da che questa scoperta fu in lui. Ma lei non era più lì, e di certo non era a lui che pensava – si disse, irato. Girò a lungo, prima di trovarla: la vide entrare in auto, sempre da sola. La bloccò con la tenera violenza che mai aveva usato con lei. Un brivido le salì la schiena; volle reagire a quella presa, ma vi si abbandonò, col proposito di non perdonarla. I loro sguardi, violenti, si compenetrarono, entrambi risentiti. Si baciarono. La lotta ancora. Feroce. Mortale. Appoggiati su quell’auto si respinsero e si afferrarono, con passione cruenta. A lungo.

Stanchi, poi, come lo si è dopo l’amore, si rilassarono, avvolti l’uno nell’altro, stretti tra l’auto e la base bianca di un campanile: ansimanti, si guardarono con occhi ancora più profondi, ma ora indulgenti. Ancora un bacio. Lieve. Un respiro. Lui sorrideva, malinconico, sembrava aver appreso qualcosa.

- Un giorno ancora…

- Sì, ancora un altro… – le rispose ansimando.

- E un altro ancora – rise lei, timida – . Poi, domani...?

- Domani aspetteremo la fine.



[1] Notre coeur è il titolo dell’ultimo struggente romanzo di Maupassant, pubblicato nel 1890, nel quale abita il più profondo sentimento dell’impossibilità di amarsi veramente. Sicuri che Maupassant non si starà “rivoltando nella tomba” – ché se qualcuno potesse fare una cosa simile di certo non vi ci si farebbe mettere nemmeno, in una tomba –, abbiamo voluto adottare questo titolo in omaggio a un grande Maestro e al suo estremo romanzo – estremo in quanto ultimo, ma soprattutto in quanto punto apicale di una forza malinconica mai così intensa nella sua poetica –, del quale si può trovare più di uno spunto, narrativo ma soprattutto sentimentale, in questo breve e misero racconto, che forse qualcuno potrebbe addirittura definire una cover, ma che in realtà, come facilmente constaterebbe chi volesse osare il confronto, è ben lungi dall’esserlo.

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