dai Manoscritti di Mr. Snodgrass
a cura di mario musella
Sonetto I
M’illuminai d’immenso fulgore
nell’eterea passion rilucente
per una donzella scarmigliata
dalla sua fulva chioma scapigliata
popolata da zecche truculenti
si, ma flebili bestiole femminili
piccolissimi insetti puerili
d’analizzar con l’ausilio di lenti[1].
O dolce bambina, tu simulacro
di ogni mio più casto desìo
credevo tu fossi l’alloro più bello
-tu- Dafne mutata in ramo magro,
in reggia, credevo, ma domineddìo
io t’ho conosciuta in lercio bordello[2].
Londra lì, 6.VII.1827
In fede
Augustus Snodgrass
[1] Mr.Snodgrass qui si dimostra attento lettore e poco originale autore: non è certo ignota alla letteratura europea, ed anche di alcuni secoli precedente, la trattazione di tali temi, come anche la tendenza ad esaltare le bruttezze ( e non le stomacose bellezze ) dell’oggetto del proprio desiderio. Mr.Snodgrass evidenzia di aver letto, e bene, la nostra lirica barocca; non è difficile, almeno credo, intravedere in questi versi una certa lettura ed imitazione di analoghi soggetti trattati dall’ italiano Giuseppe Artale, o dal più celebre Giambattista Marino, entrambi lesti a celebrare la donna brutta o zoppa, la chioma smessa e puzzolente di pidocchi della propria amata, o (peggio ancora!) la donna “nera”.
[2] Propongo qui la traduzione avanzata da Mr.K. : << io t’ho posseduta in lurido casotto >>; tuttavia è prevalsa la mia lezione; e non solo per adeguarmi al lirismo di Mr.Snodgrass e ingentilire il tutto con l’uso di “conosciuta”; ma anche e soprattutto perché usando la lezone di Mr.K. ne sarebbe risultato un verso ipermetro, mentre era mia preoccupazione rispettare il metro del tradizionalissimo endecasillabo
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