Il SIGNOR CORRADO
(seduto da due giorni su una panchina di piazza del Gesù)
di Delio Salottolo
(seduto da due giorni su una panchina di piazza del Gesù)
di Delio Salottolo
cieca è l’acqua che piomba giù azzurra e fredda dall’altezza che i miei occhi non scorgono e quel signore con il cappello di lana rincorrere e strappare a morsi la sua bambina tra quelle vecchie travi che il vento ha accarezzato quando io bambino camminavo e giocavo a pallone sudicio sotto la pioggia e ora seduto qui a piazza del Gesù a rincorrere i miei piedi gonfi e neri di freddo come quando giocavo a pallone
poi c’è lì il giornalaio che mi dice - da dove vieni?
io gli dico - voglio murì
allora lui mi dice - prendi, mangiati almeno questo
io gli dico che non sono un cane e che lui deve assolutamente mangiare il suo sorriso verde perchè Cristo ha nelle mie mani la sua vita accarezzando i miei piedi e io non lo vedo più nella rete del pescatore perchè questa pioggia mi bagna di piscio i pantaloni scuri e induriti e intanto c’è quell’uomo dai capelli corti e sporchi di me stesso che scava nell’immondizia e trovare quel vecchio braccialetto che la mamma metteva quando camminava e scopava con gli altri uomini neri e allora io scavo e scopo nel panino McDonald e scorgo il fondo delle scarpe che ho gettato a mare così i cacciatori se le mangeranno imbottite di mollica di pane e carte di vecchi biglietti e santini
- signore, non si sente bene?
io allora rispondo - voglio murì - e grido mi dimeno e strappo la voce da quelle facce pulite scortico quei capelli lunghi e profumati e incontro lividure viola tra quegli occhi di vecchia suora con i baffi lunghi e neri come i Borbone che mio padre aveva sulla parete e accarezzarli e baciarli e leccarli quei peli
e mi dicono accarezzando le coperte - perché non vi fate vedere da qualcuno? - e io stringo gli occhi e mi mordo le labbra per far uscire il sangue e sputare
- state male, perché non andate all’ospedale? - io urlo i miei rutti e prendo a pugni l’aria azzurra e bagnata e c’è lì il vecchio cane nero e grasso che mi offre quel vecchio panino che io ho mangiato tra le pieghe del cappotto di nuvola indurita che ora mi copre la cresta di gallo
urlo - voglio vedere Gesù Cristo - e loro guardando se stessi come vecchi gatti in amore e il giornalaio avendo in mano una borsa che contiene vecchi serpenti usati e maglie del Napoli di Maradona e quella donna spogliando la sua macchina e sotto il vestito ci sono nuvole e tette di Dio e un’ambulanza che mi vogliono regalare uscendo dalle gambe pelose e rosse e io ringrazio per quel dono che scende dalla figa del cielo della Madonna e allora mi prendono per un braccio e io stringo forte la mia faccia e schizzo i miei occhi su di loro che tremano per la paura e per il sole nel fondo dei miei occhi e io allora dico - Noooo, voglio murì - e le signore con le gonne danzano attorno ad un fuoco raccogliendo vecchio marmo di chiesa e le mestruazioni di mia madre e io cammino su quel prato di orologi e vecchie puttane dove c’è mio padre nudo che si tocca e ha la faccia di Cristo che guarda la Madonna che io voglio vedere perché mi manca l’abbraccio del sole primaverile e penso a quell’odore di sacrestia molle e di legno baciato da Dio-nostrosignore-liberacidalmale e dico al giornalaio che puzza di piombo infradiciato - portatemi alla chiesa di Santa Chiara, voglio murì - e tutti si guardano e bei sorrisi tutti bianchi per non essere sporchi di piscio e fango e sorridendo lacrime di candeggina scavano il loro volto e si guardano e passa un padre seduto in carrozzina trascinato da un neonato senza testa arrivando una sirena che si ferma e porta una barella ma io ho le ossa incrostate di pane e acqua e non posso sbriciolarmi e incontrarmi nel panino con le melanzane - venite, venite, sedetevi qua - e vogliono ancora il mio corpo senza cazzo e non vomitare più e girando la testa in cerchio per assicurarmi la distanza dall’acqua del cielo e per rompermi quei tre denti e dico - a’ chiesa, voglio murì - e poi ripeto a quelle capre di montagna e a quel sorriso cariato di morsi e morte del radiatore - voglio murì, a’ chiesa, a’ chiesa - e mio padre mi dice che dobbiamo andare al mare e che dobbiamo stare attenti ai topi femmine che aprono le cosce e si fanno penetrare dalle code a spirale e stare ora sdraiato di nuovo senza sole e la mia schiena muovendo come vecchio secchio pieno di pesci morti e immobili e il cielo cambia davanti ai miei occhi e anche il vecchio obelisco in erezione e c’è quella vecchia seduta sull’asta della statua che mi dice mamma scendere e cadere a terra e poi c’è un arco che mi copre le voci delle persone e dice
- come vi sentite?
- ma che ha passato?
- poverino, però
e io mugugno digrigno e dire e parlare e poi c’è un prete davanti a me, bello e pulito, che profumo uscendo dal suo culo che non è bagnato e sporco
dice - non posso
gli chiedono - perché?
lui dice - non posso
io dico - a’ chiesa, a’ chiesa
lui mi guarda con occhi di lucertola crocefissa alla vecchia porta della signora Maria e ci sono gli schiaffi e i pizzichi di mamma tra le sue parole e la puzza di merda stando a Granturco tra le macchine e le noci e poi la voce di Toni al dormitorio che scortica il muro di plastilina e quella vecchia suora che si cambia le mutande davanti a me e io pensando mi dicono
- ma perché non lo fate entrare? vuole soltanto vedere la chiesa
- non è possibile signorina, fra poco è ora di messa e dobbiamo prepararci
- ma la chiesa non dovrebbe aiutare la povera gente?
il parrocco sorridendo e nessuno capisce che nel culo del travestito sfondato e pieno di pus e sangue c’è il marmo freddo e silenzioso di don Antonio che crocifigge il suo cazzo alla schiena del cielo
allora io dico - a’ chiesa, a’ chiesa
una ragazza dice - lo dovete aiutare, è un vostro compito, è un povero barbone che si sta lasciando morire a piazza del Gesù
io mi guardo intorno e non vedo nessuno di me che muore seduto in piazza del Gesù
poi ancora - fatelo entrare e lo laviamo e cambiamo in sacrestia
io dico - voglio murì, voglio murì
mia moglie muore muore affogata nel vomito del sorriso del prete che si scusa e che con le mani afferrare il volo degli uccelli e il silenzio dei topi e la mia puzza è insopportabile e guardo qualche persona commossa e versare lacrime sul mio vassoio che odora di segatura bagnata
io dico - voglio murì
c’è quel prete dai denti bianchi come il camice di mia moglie all’oratorio e dice - mi dispiace veramente, però ci sono centri specializzati per la cura di queste persone
perché non mi guardi? e non ho saliva per leccarlo
- poi c’è il convento delle suore di Calcutta
allora io dico - voglio entrare ccà, voglio entrare ccà, mi piace sta chiesa, voglio a Gesù
c’è qualcuno che dice a Dio vestito da prete che fa schifo vestito da prete perché non ha il sudore di chi raccoglie discariche all’amianto ma il cielo stando già cambiando di nuovo e l’odore della sacrestia travestito come quel ragazzo che se lo prendeva in culo per non far sfondare le donne napoletane dai soldati delle guerre mondiali e che mi diceva sempre: o’ femminiello o’ femminiello e voglio sedermi perché sdraiare la mia schiena non esiste più e tutti mi guardano e io volendo andarmene a cambiare cielo e uccelli e topi che mi accompagnano e danzano ma loro mi dicono nel naso stappato da poco
- volete andare all’ospedale?
io dico - no, voglio murì - e penso che dicono sempre le stesse bianche cose da topolini con gli occhi rossi e arrivano un paio di occhiali da donna-maestrina che mi dava le bacchettate sulle mani e che io ho visto le sue mutandine bianche una volta quando mi sono nascosto sotto al banco e una strana peluria nera e ancora tra i pugni di mio padre nella schiena dritta e frantumata
- guardate che lì vi lavano, vi asciugano, vi vestono e poi potete fare quello che volete! - chiudo gli occhi perché il cielo è solo grigio ed è con gli occhiali di vetro verde nella stanza da letto di Rosaria quando mi prendeva per la mano e mi toglieva i pantaloni
- sta morendo, sta morendo, lo dobbiamo portare via - e mi toccano le mani di Rosaria e sento una piccola formica di ferro ghiacciato che mi sale dalle gambe
- aprite gli occhi, aprite gli occhi, dovete stare sveglio - e quegli artigli mi premono il dolore viola sulle spalle e non vedo nessuno e il mio naso si sta spegnendo nel blu
- noi non possiamo portarlo via, c’è bisogno del suo consenso
- ma è possibile che voi lo dovete lasciare qui a morire perché non avete il consenso?
- è la procedura, mi dispiace signora, non possiamo portarlo nell’ambulanza
apro gli occhi e c’è una goccia che precipita come un vecchio frigorifero dal quinto piano e non vedo Gesù e la mia chiesa
dico allora a tutti - voglio murì, voglio murì - e l’auciello grifone mi sta scannando e mangiando gli occhi e i piedi
- mi assumo io la responsabilità, non vi preoccupate fra poco starete meglio!
e io sto mangiando il pollo con le mani e accarezzo quella coscia liscia e gentile e poi dico - voglio murì
sono pulito in questo giardino e profumando il corpo sentire il sorriso con gli occhi chiusi del neon della fabbrica di Bagnoli e volando cadere per frantumare la mia mancanza e il respiro non esce rosso d’inverno annidandosi negli angoli del corpo ed esplodere all’improvviso come tosse d’argento e sorridere accarezzando le luci colorate che riempiono gli occhi
- è morto, è morto
- e mo’, chi lo porta via?
da City Napoli 12 gennaio 2007
TRAGEDIA DELLA POVERTA’
E’ stato trovato il corpo senza vita di un clochard in uno dei giardini di piazza Garibaldi. La morte deve essere sopraggiunta per arresto cardiaco a causa di un principio di assideramento. L’uomo non portava documenti con sé. La solitudine e l’abbandono hanno fatto un’altra vittima.
e io e la terra e il verme meccanico tra liquami di vita triangolare e sono felice portando me sotto la terra per partorire ossa frantumate e organi esplosi nella cella frigorifera del tempo parlando tra crani nutriti dalla terra feconda e pesante e io corro sopra i piedi neri e gonfi giocando con gli insetti verdi e parlare senza voce nel silenzio sottile dell’acqua impollinata in una mattina di inverno dolce e dalle striature gialle e nere
1 commento:
ciao Delio...è bellissimo questo racconto, mi hai riportato per un attimo "a casa" in questa nebbiosa notte bolognese...una "casa" che sa essere squallida e sciatta ma piena di vita come una puttana vestita a festa...stanotte che il sonno non arriva, ho pensato di passare di qua a lasciarti quello che credo sia il primo commento di questo blog.
Grande, è bellissimo quello che state facendo, siete sempre per sempre nel mio cuore.
Un grande abbraccio
Paola
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