La dispensa del Bimillenario di Marco Luciano
L’impeto soggettivo dell’istinto soffoca voglie di relativismi ormai troppo masticati per avere ancora una qualsivoglia consistenza ‘ideale’ e reale nell’uomo odierno e quindi per l’uomo odierno
Mancano punti fissi idee salde non manca la soggettività delle regole eppure non mancano le regole né manca la paura delle regole altresì manca la coscienza insita e storicamente innata delle regole
Mancano i confini della ‘situazione’ mancano anche le infinite possibilità di
situazione
Manca l’oggettiva quanto istintiva capacità di relazionarsi alla situazione
Manca l’attaccamento alla situazione manca l’animale concezione che la vita sia una situazione relegata a categorie diciamo semplici in quanto biologiche di modo che manca in alcuni l’amore per la vita in altri più numerosi il pensiero della vita in sé il pensiero della vita non del piatto grigiore quotidiano e materialista (ci tengo a non dire materiale)
Manca la banale eppure manca la concezione di essere odore di essere anche e banalmente e in modo primordiale odore un’inconsciamente inconfondibile spirale di odori umori che gridano a miriadi la propria sete di ‘esistenza’ Ma solo meri acquitrinosi cervelli galleggiano alla deriva di mari sempre meno identificabili sempre più ‘sottili’ sempre più telematici sempre più stagni ancora più simili e ancora più immobili
Manca la facoltà di codificarsi e quindi di riconoscersi senza omologarsi manca quindi il conoscersi ben piccolo problema per il fragile rachitico Bimillenario non è certo questa la novità degli strilloni delle nostre coscienze Manca la curiosità senza pregiudizi che spinge il bambino a muovere passi pericolosi la frenetica coraggiosa curiosità che accompagna alle porte microscopiche eppure tanto luminose del conoscersi Perché il velo di Maya è ormai diventato tendone da circo e si stenta a capire chi sia il clown e chi il leone chi il domatore e chi l’equilibrista
Manca il coraggio di conoscersi e di affrontarsi Si aggrovigliano latenti motivi di insurrezione
Rancori
Inconsciamente inconfondibili spirali di odori di umori di rancori che gridano a miriadi la propria sete di esistenza prima che di conoscenza anche dei se stessi
La nostra è una ferocia mutilata sempre sul punto di esplodere e sempre dai se stessi aggredita pacata sfruttata male
E’ un balbettare dell’anima Un continuo singhiozzare di atti e di menti
Un alfabeto morse dell’esistere e del resistere
Un frenetico andirivieni di circostanze non penetrate di input di sensazioni
Ancora abbiamo sensazione perché ancora facciamo parte della vita biologica perché ancora ricoperti da miliardi di recettori pronti a sfogliare molecola dopo molecola ogni suono ogni fastidio ogni dolore collegati ad altri recettori che instancabilmente scartocciano rimembranze incubi vecchi furori
Immobili vortici di contatti neurini ormai statici
Manca la facoltà e il desiderio di smentire di schernire di schierarsi di decidere e anche di rigettare di sputare Manca quindi l’antitesi
Manca quindi un processo dialettico, sociale o situazionale
Non manca la capacità di sopportazione di tacita apparentemente trasportata sopportazione
Non ci si schiera neanche nei confronti dei se stessi e della propria voluntas o noluntas perciò Manca l’oggettivazione dei propri umori
E oggettivare i propri umori oggi non può che significare bestemmia
Un oggettivare non inteso in senso pragmatico relegato al singolo fatto
Un oggettivare inteso in senso trascendentale ossia un continuo inchiodare nel dire e nel fissare tra loro i vari ‘fatti’ che tessono
la ‘situazione’ o la propria ‘situazione’
E’ un rigurgitare il proprio male Una sorta di tenace esorcismo
E’ un momentaneo e istantaneo astrarsi dal proprio stadio di cose e individuarlo dettarne i confini circoscriverlo e accerchiarlo per poi rituffarcisi dentro e riviverlo
E’ una battaglia tra situazione e individuo
E a vincer deve essere il relazionarsi della coscienza individuale alla complessità della coscienza situazionale
Questo è combattere il giogo di una vita sgradita
Questo è bestemmia
Ma bisogna avere coscienza
Ossia ‘bestemmiare’ coscientemente Con cognizione
Non in senso morale o immorale
Ma in senso puramente a-morale
Manca oggi un dio da accusare ed amare
Manca un dio per giustificare il limiti del proprio essere uomo qui e ora
Bestemmia è sofferenza
Non di quella chiusa sofferenza raggomitolata e impenetrabile capace soltanto di riversarsi sull’addome tutta la melma raccolta sul sentiero
E’ una sofferenza in continuo movimento totalmente dinamica
E’ un crescendo di partecipazione e compartecipazione
E’ un ribollìo graduale e potente dei sé e dei se stessi
Come vulcani collegati da gallerie sotterranee capillari incandescenti in cui
Magma e magma si fondono
In continuo scontro in permanente confronto
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